Fra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta il Monopolio di Stato, che nel corso del Novecento si è occupato delle saline in tutto il territorio nazionale ha deciso di dismettere parte dei suoi beni. Fra questi c’erano anche le Saline di Cervia.
Analoga sorte è accaduta alle altre saline italiane. E qui la storia di Cervia assume una connotazione importante. La comunità cervese, infatti, si strinse attorno alle proprie saline, sentite da tutti come valore identitario.
Se per il Monopolio di Stato la piccola salina di Cervia (piccola in confronto alle immense saline siciliane e pugliesi, dove, tra l’altro il sale si raccoglie più volte all’anno, grazie a condizioni climatiche diverse da quelle del nord Italia) era considerata “antieconomica”, per i cittadini di Cervia al contrario era fondamentale che la produzione del sale non cessasse del tutto, per evitare l’impaludamento del territorio. In questo l’aver attribuito alla salina una valenza paesaggistica e la funzione di ecosistema da mantenere inalterato ha avuto giustizia. Il bene più prezioso di una comunità infatti, è, assieme alla sua storia, il suo paesaggio. Da qui l’insistenza della costituzione, proprio sulla tutela del paesaggio, ma anche le battaglie delle comunità per mettere in salvezza ciò che resta.